Pier delle Vigne
Io son colui che tenni ambo le chiavi / del cor di Federigo, e che le volsi, / serrando e disserrando, sì soavi, / che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi…Così mi fa parlare Dante quando mi incontra all’Inferno, tra i suicidi, nel secondo girone del settimo cerchio. Ero morto già da molti anni ma la mia storia destava ancora stupore e sconcerto per l’Italia tutta. Tanto più in alto un uomo ascende, tanto più l’invidia degli umani si compiace nel vederlo cadere…Ed io fui potente, il più potente, il più ascoltato di tutti alla corte dell’imperatore Federico II; per questo la mia rovina fu sfolgorante come la mia ascesa. Venni imprigionato in questa rocca, l’accusa fu di tradimento e corruzione. Lo stesso Federico firmò la mia condanna. Del suicidio non confermo, già al tempo dell’Alighieri ero leggenda. Di tutto ciò che sono stato, logoteta, poeta, prothonotarius, custode dei sigilli dell’Impero e del Regno di Sicilia salverei solo il poeta. Si, insieme a Federico e ad altri della corte ho cantato l’amore. Vorrei mi ricordaste per i versi che ho scritto e non per la mia fine indegna. Ve ne lascio alcuni: Vostro amor è che mi tiene in disiro / e donami speranza con gran gioi, / ch’eo non curo s’io doglio od ò martiro / membrando l’ora ched io vegno a voi: / ca, ss’io troppo dimoro, par ch’io pera, / aulente lena, e voi mi perderete; / dunque, bella, se ben mi volete, / guardate, ch’io non mora in vostra spera.