Il Museo Civico Beata Diana Giuntini: breve storia

Inaugurato nel 2014, il Museo Civico Beata Diana Giuntini accoglie tanto il legame della comunità con le sue tradizioni, quanto tutte quelle testimonianze storiche declinate nei reperti archeologici esposti, dai quali non è possibile prescindere per conoscere la storia del territorio. Al piano terra, con la Sala dello Stemma e la Sala della Beata, si collocano le tematiche più legate alla storia locale e alla figura della Patrona, la Beata Diana Giuntini. Introdotto da un video 3d che, nella sala ammezzata, ricostruisce le diverse fasi storiche relative allo sviluppo di Santa Maria a Monte e della sua pianura, al primo piano si trova l’esposizione archeologica che, partendo dall’assetto del paesaggio nell’area pianeggiante di Sant’Ippolito in epoca romana, ricostruisce le varie fasi dello sviluppo insediativo del centro collinare di Santa Maria a Monte. 

Opere in evidenza

Il dipinto della Beata Diana Giuntini

Esposta nella Sala della Beata, l’opera, realizzata nel 1734 da Anton Domenico Bamberini – che affrescò numerose chiese soprattutto a San Miniato –, rappresenta Diana Giuntini, beata proclamata “a furor di popolo”, festeggiata con la pittoresca Processione delle Paniere ogni Lunedì di Pasqua. Alla ragazza, vissuta a cavallo fra XII e XIII secolo ed il cui corpo riposa nella Collegiata di San Giovanni, venne tributata subito dopo la morte una devozione speciale, motivata soprattutto dal miracolo della trasformazione del pane che Diana portava nel suo grembiule in rose e fiori, per evitare di essere scoperta nella sua carità verso i bisognosi. La Beata, ritratta con tre gigli bianchi, simbolo di purezza, è raffigurata a mezzo busto con la veste della monaca agostiniana, mentre, in meditazione,  tiene con la mano sinistra un libro aperto. Degno di nota il paesaggio sullo sfondo, con la veduta settecentesca di Santa Maria a Monte, adagiata sul colle.

La statua acefala

L’opera, attribuita alla bottega del Biduino, operante nel territorio pisano-lucchese intorno agli ultimi anni del XII secolo, si trova nella sala dello Stemma ed è una statua frammentaria di un personaggio maschile conservato dal bacino e dai polsi in giù, vestito con una tunica lunga fino ai piedi e sovrapposto al mantello, seduto su un trono con braccioli, in atto di lasciar svolgere con la mano destra poggiata sul ginocchio un rotulo, mentre la mano sinistra tiene fermo un lembo della veste. L’apparentamento tipologico con statue romaniche di simile iconografia, porta a ritenere che si tratti di una parte figurata di un pulpito, una base di lettorino destinata a comparire aggettante dalla cassa di quel pergamo che, collocato oggi nella Collegiata di San Giovanni, proveniva dalla Pieve di Rocca.

Il cippo di Sant’Ippolito

Conservato nel piano ammezzato del museo, appartiene alla classe dei cippi a forma di clava, databile tra il VI e V sec. a.C. In marmo delle Apuane, venne  impiegato per segnalare piccole tombe a incinerazione, coperte da un tumulo di terra. Esso proviene da Sant’Ippolito in Anniano, toponimo che indica l’area posta sulla sponda destra dell’Arno, nei pressi dell’attuale località Colombaie. A Sant’Ippolito venne fondato in età augustea un edificio rurale, destinato a generare un complesso a esedra, appartenente alla tipologia dei monumenti funerari, “pagani” o martyria. Tale complesso fu probabilmente un edificio gentilizio di esposizione monumentale del sarcofago di un personaggio illustre o di una serie di sepolture legate ad una famiglia di notabili locali, con chiari richiami alla paganità che stava perdendo la battaglia contro il cristianesimo.

Il sarcofago romano

Esposto al primo piano, il blocco di pietra del sarcofago, recuperato durante gli scavi compiuti in Rocca, risale probabilmente all’epoca romana ed inizialmente venne impiegato in un’importante struttura, forse un monumento funerario, inserito all’interno della centuriazione della vicina piana del fiume Arno. Al suo interno presenta diverse tracce di lavorazione attribuibili ad almeno due reimpieghi precedenti. Infatti, il foro visibile nella parte curva indica il riutilizzo del manufatto come cisterna per la raccolta dell’acqua. Nel Basso Medioevo, poi, esso venne nuovamente utilizzato come sepoltura e collocato, in posizione privilegiata, lungo la fondazione esterna della Pieve di Rocca, tra il transetto e l’abside nord dell’edifico ecclesiastico, dove è stato trovato. Chiuso da una sottile lastra di ardesia, ha ospitato tra il XII ed il XIII secolo alcune sepolture infantili, le cui teste erano adagiatein una sorta di “cuscino” scolpito nel fondo.